Quinlan

Se c’è un minimo comun denominatore rintracciabile in una sessantasettesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia giunta oramai al giro di boa, con ogni probabilità riguarda la selezione delle opere italiane nelle varie sezioni del festival. Dal concorso ufficiale (dove si è già avuto modo di apprezzare l’esordio di Ascanio Celestini La pecora nera, e non ha deluso La passione di Carlo Mazzacurati, in attesa di Saverio Costanzo e Mario Martone) fino alle Giornate degli autori e alla Settimana della Critica, è stato possibile imbattersi in una polifonia di voci in grado di mostrare un volto dell’Italia cinematografica che da anni sembrava essere finito in soffitta. Una sorpresa assolutamente da non sottovalutare, e che permette di guardare al futuro prossimo con inaspettato ottimismo, nella speranza di non essere fin troppo presto smentiti.
Proprio per questo motivo, paradossalmente, rischia di perdere la propria specificità Controcampo italiano, la sezione inaugurata l’anno scorso e riservata in forma esclusiva alle produzioni nostrane. In attesa di capire se ciò comporterà una revisione dell’assetto attuale della Mostra, è il caso di annotare la presenza nella sezione come evento speciale di Tarda estate, esordio al lungometraggio dell’affiatata coppia composta da Marco De Angelis e Antonio Di Trapani. Per chi avesse un minimo di dimestichezza con il curriculum artistico dei due cineasti (insieme hanno firmato i cortometraggi Il cuore sospeso e Voci di rugiada), trovarsi a tu per tu con quest’ultima fatica non potrà che confermare le suggestioni ricevute nelle opere precedenti. I punti di contatto sono evidenti soprattutto nel confronto con Voci di rugiada, e non solo per l’originale scelta “culturale”: sia il corto del 2008 sia Tarda estate sono infatti ambientati in Giappone, e interpretati da attori giapponesi. Una scelta del tutto estranea a qualsiasi percorso cinematografico intrapreso di recente nella nostra penisola, e che colloca automaticamente gli autori in una posizione anomala, a cui guardare con particolare interesse.
Le radici da cui partono i due registi sono di natura strettamente culturale: se Voci di rugiada era la messa in scena, riveduta e corretta, di un dramma del teatro Nō, Tarda estate si riallaccia a uno dei miti più conosciuti del Giappone. Nel Tanabata, tratto da un’antica leggenda cinese, si parla del doloroso amore tra il pastore Hikoboshi e la dea Orihime (rispettivamente le stelle Altair e Vega), costretti a essere divisi per tutta la vita, eccezion fatta per un giorno dell’anno, la settima notte del settimo mese. Partendo da questo presupposto De Angelis e Di Trapani lavorano il substrato mitico trasportandolo a forza nella contemporaneità e tracciando le coordinate per un viaggio alla riscoperta della memoria umana del protagonista, un anziano giornalista giapponese, da decenni di stanza in Italia, che ritorna nel paese natio dove è costretto a confrontarsi con il ricordo di un grande amore scomparso. Nonostante tutto agli autori ciò che sembra davvero interessare, al di là del lento conoscersi e (ri)scoprirsi dei personaggi impegnati sulla scena, è la sperimentazione di un approccio estetico in grado di evitare le secche di un realismo posticcio che ha oramai mostrato la corda. Al contrario, la messa in scena di Tarda estate lascia realmente sbalorditi, sia per la sensibilità fotografica, sia per la capacità di cogliere nella singola inquadratura un punto di rottura in grado di decretarne l’alienazione rispetto a buona parte del panorama circostante – in Italia, ça va sans dire.
Ciò che non convince appieno, semmai, è la strisciante pretesa intellettuale che di quando in quando fa capolino tra le pieghe dell’opera: alcuni rimandi, peraltro fin troppo smaccati nel loro sfogo citazionista, appaiono davvero ridondanti, calcolati, misurati con il centimetro. A dispetto di una narrazione per immagini ricercata ma mai affetta dal morbo dell’estasi fine a sé stessa, il sottotesto di Tarda estate mostra fin troppo facilmente la corda. L’impressione è che quando i due registi si dimenticano di essere autori e riacquistano la propria naturale spinta umorale, il film tocchi vertici artistici davvero ammalianti. Che questo non sempre accada non è certo una rarità nella storia delle opere prime. Sarebbe comunque interessante scoprire cosa accadrebbe al film se gli fosse data la possibilità di raggiungere le sale e confrontarsi con il pubblico.
Purtroppo, a meno di imprevedibili miracoli, è un mistero di cui non verremo mai a capo…

Raffaele Meale

06/09/2010

https://quinlan.it/2010/09/06/tarda-estate/